Una recensione di Amianto sul Corriere Nazionale:

1stJan. × ’13

 

Corriere Nazionale, 30 dicembre 2012, Morire d’amianto nel tempo del dolore di Marino Magliani

 

Quelli come Alberto Prunetti li chiamano gli autori della narrativa militante. Traducono gli argentini come Osvaldo Bayer e i loro libri anarchici, parlo di Severino Di Giovanni , libri odiati dai militari in tempo di junta assassina. Quelli come Prunetti scrivono Il fioraio di Perón, le strade e i moli di Buenos Aires, le piazze e i carri, ma poi quando guardano sotto i nostri cieli raccontano cosa vedono e allora leggiamo le nostre ferite, il nostro pus. Che narrativa è la narrativa che qualcuno chiama militante e altri la dicono necessaria? Valerio Evangelisti, che ha scritto la prefazione di Amianto, inizia così: “Avete tra le mani un libro terribile e bellissimo”. E purtroppo non è un’iperbole: Amianto è terribile perché di dolore ne racconta a vagonate.

Racconta le pene della carne e dell’aria e degli alberi, dell’erba e dell’acqua e anche il dolore del tempo, e i sogni, per dire, perché ci sono anche i sogni sotto i cieli malati. È il padre dell’autore, Renato Prunetti, (il libro contiene anche del materiale fotografico, e ci mostra un giovane uomo alto, di bell’aspetto, accanto ad amici e alla cantante Nada e poi acconto al figlio da bambino, e agli operai tubisti, e ci mostra anche la mappatura delle fabbriche bastarde d’Italia), che muore contaminato.
Bellissimo, dicevamo, perché Amianto è un libro romantico e potente, e la capacità del narratore, come una specie di legittima difesa, una corazza, è di mettere assieme certe cose terribili come se ci raccontasse una fiaba. E a volte si sa le fiabe sono tremende. E questa è una delle forze di Prunetti, che sta nel miscelare ricordi, divertimenti, rabbia, stupore, non luoghi, che sono i non luoghi dove è cresciuta una generazione di figli di operai massacrati, e far scorrere tutto nel torrente che attende ancora la sua foce.

Amianto è un libro che è un po’ romanzo e un po’ un saggio… 
Ho incrociato questi due generi per dare al romanzo la forza della realtà e al saggio la tensione dell’intreccio. Amianto ha la contemporaneità di un saggio e la drammaticità di un romanzo. Entrambe sono involontarie e necessarie.
Cosa significa involontarie e necessarie? 
Che esistono mio malgrado. Non le ho costruite come un plot artificiale a tavolino. Mi ci sono trovato dentro. Al plurale: io e mio padre. Dentro al dramma della malattia, dentro la classe operaia. Ho iniziato a scrivere questo libro non per ragioni letterarie, ma per ricostruire il curriculum lavorativo di mio padre, perché volevamo che fosse riconosciuta l’esposizione alla fibra assassina in anni di lavoro nei cantieri industriali.
E la contemporanietà del tuo libro con gli eventi dei nostri giorni, il caso Eternit di Casale e quello dell’Ilva di Taranto?
Anche quella non è voluta: l’amianto, prima di vederlo sul titolo di un libro, ce lo siamo trovati a casa nelle tute che Renato portava a lavare. Quanto all’Ilva, mentre mio padre lavorava nell’Ilva vera, io sono cresciuto dentro un’Ilva dismessa: a Follonica la mia scuola era un altoforno ottocentesco. Il libro è drammaticamente attuale: è uscito nel giorno in cui un operaio è morto cadendo con una gru dall’Ilva di Taranto. E nel libro cito gli appunti di mio padre in cui denunciava la cattiva manutenzione delle gru in uno stabilimento.
Nel romanzo c’è un continuo parallelismo tra il lavoro si Renato e il tuo… 
Sì, ho fatto rimare la penna con la chiave inglese e ho cercato di scrivere il libro pensando a come lui montava i tubi. Con saldature, raccordi, senza allentare le guarnizioni della narrazione.
Tu stesso lamenti problemi di salute, una tendinite collegata alla tua attività lavorativa. Come fai a scrivere?
Lavoro a cottimo, come un tempo i braccianti e i contadini, ma con le parole. Come traduttore, mi danno un tanto ogni 2mila battute. Più battute, più soldi, niente malattia, tredicesima o pensione. Ho una tendinite per la battitura da tastiera. Scrivo poco: scrivere mi fa male, tanto vale farlo per cose importanti. C’è amarezza ma c’è anche l’antidoto dell’umorismo: nel libro si ride, perché la tragedia va raccontata con spirito corrosivo, senza perdere speranza di riscatto da un mondo alla rovescia, tanto ingiusto.

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