Tradurre è un'opera di artigianato. Richiede fatica, concentrazione, capacità cognitive, sperimentazione. E soprattutto esperienza. Il traduttore è l'eterno assente, l’invisibile della letteratura, uno che presta le proprie parole a un altro. Sarebbe tempo che i traduttori trovassero la propria visibilità, facendo della propria precarietà e del diritto a una vita degna di questo nome una questione extra-letteraria. Scendendo insomma al fianco di tutti quelli, dai baristi ai pizzaioli, dagli spazzini agli insegnanti, che non ne possono più di barattare la propria esistenza per un salario. E invece continuiamo ad attendere alle nostre “ribaltature” per un compenso risibile, un tanto a cartella per cedere il "diritto del nome" "sull'oggetto del proprio ingegno". .. Quanto a me, ecco alcuni titoli che ho tradotto. In alcuni casi li ho proposti io stesso agli editori. In altri, sono stato scelto per affinità, o per caso (e l'affinità si è creata dopo). Non sono tutti i titoli che ho tradotto. Sono solo quelli che più ho avuto interesse a tradurre: ho lasciato perdere sia le traduzioni tecniche (non vi interessa sapere come si scindono le proteine del fegato del merluzzo, vero?) che le traduzioni elaborate in situazioni di stress (tempi di consegna troppo brevi, impossibilità di dialogare con la redazione). Non sono troppo contento dei miei esordi: tradurre è scrivere sotto condizioni, e a me questo risulta difficile. D'istinto mi ribello, vorrei riscrivere. Ho imparato a scardinare un testo e rimontarlo, come farebbe un ebanista. Il mestiere si ruba cogli occhi e s’impara col cuore, dicevano i vecchi guardiani di vacche delle parti mie. Tradurre, è un po’ la stessa cosa.
One Comment
Privilegiare il senso rispetto al segno comporta sempre un livello di inevitabile tradimento, ed ogni tradimento, certo, è un furto, furto di fiducia. Ma se il veicolo semantico fa riferimento ad universi di significato variabili, c’è poco da fare, o si legge ogni volta un autore nella sua lingua, o si impara quest’ultima a dovere. Ho tentato di aggiungere l’arabo al mio bagaglio, ma a cinquant’anni i segni diacritici si distinguon male… Il traduttore è necessario: anzi, sacrale. Il traduttore testimonia per il solo fatto di esistere il fallimento dell’utopia imperialista, l’imposizione di una sola religiosità (cristiana per quel che ci concerne), un solo modello d’esistenza, una sola lingua, l’angloamericano di qua il russo di là, il latino nei tempi passati, l’arabo coranico nei tempi odiernamente non moderni.
Quello del traduttore è il mestiere internazionalista del futuro, quando sempre più saranno veicolati parole concetti idee e sempre meno commodities. Se ci penso, io lavoro su un testo latino da rendere accessibile in una lingua moderna; mia moglie insegna latino; mio figlio fa l’interpretetraduttore di mestiere, oltre insegnare l’italiano a dei riluttanti francesi. Delle mie nipoti, bambine biilingui, la più grandicella (7 anni) già si pone di fronte al gruppo neolatino ed a quello anglosassone, per sceglierne uno verso cui estender le conoscenze e le competenze.
Alla fine, sembra che solo la musica e la matematica non abbiano bisogno di traduzioni. Ma è veamente così?