Potassa su yaduende

13thOct. × ’08

[Segnalo una recensione di Potassa e L’arte della fuga sull’interessante sito Yaduende, un progetto critico e creativo sulla scrittura]

di It

 

Usata per fiammiferi, saponi e esplosivi, la potassa è un agente corrosivo, qualcosa che allarga i suoi confini, blandendo e lacerando quelli altrui. Non è il potente lavorìo dell’acqua, né il suo lento scavare nella roccia, è il deflagrare, l’irrompere e lo squartare, è il gioco, la danza del fuoco.

Se qualcuno volesse farsi un’allegra carrellata fra i poeti briganti e la sbirranza fascista dell’inizio secolo scorso nella Maremma, con qualcuno che racconta storie colorite, che non sono solo archivio, romanzo storico o fouilletton, che abbiamo un tono e un colore, una partecipazione, del sentimento narrativo, della passione, che scorre tra le parole, le incursioni di Alberto fanno al caso suo.

Così conosciamo storie della nostra storia, quelle vecchie fandonie sulle risse d’osteria, sulla rima, sulle pistole e sui nascondigli che non sono da nessuna parte. Io sono di Cascina Gatti e si narrava che mio nonno, ormai nel secolo scorso, assieme ai suoi compari, andasse per le osterie di San Maurizio a tirar su rissa e a rubar donne nelle sere in cui non c’era niente da fare. Quando l’ho conosciuto aveva una moglie, di San Maurizio, che poi era mia nonna, e conosceva una sola medicina per ogni tipo di male, il vino. Nelle storie variegate e intrecciate che ho letto qui dentro, di cui si può avere una sana anteprima qui, sono molte le cose che mi rimangono in mente, più di tutte il colpo fulmineo della rima: «Chiaro Mori, “Chiarone”, visse nei boschi, o nei poderi vicino ai boschi di Grosseto, per circa 12 anni, e fu una vera spina nel fianco per le autorità fasciste del grossetano. Duro e armato, Chiaro ama però i balli contadini, i contrasti in rima e la musica e di quando in quando frequenta i poderi dove si tiene qualche festa. Una sera Chiaro si diverte in un ballo in un podere quando viene avvertito dell’arrivo dei carabinieri […] sul pianerottolo si trova dinanzi un brigadiere che gli chiede se c’è nel salone il Mori. Dimostrando spirito e sangue freddo, Mori risponde: “Quando c’ero c’era, ora ‘un c’è più”. Poi aggira il milite, frastornato dalla potenza logica dell’argomentazione, e si dilegua nelle macchie circostanti.» Le genialità della lotta, il piacere del proprio diritto all’esistenza, alla resistenza è tutta qui, «Quando c’ero c’era, ora ‘un c’è più, parole che fanno ridere, che sanno di sberleffo, ovvie e stupendamente argute, scandite dai suoni vocalici che si intrecciano in uno scioglilingua quasi infantile…poi di colpo un’intuizione: mi metto a contare le sillabe. Sono 10, con un’ultima sillaba accentata: è un endecasillabo tronco.» L’ arte della fuga è qualcosa di fluido, è la sottrazione al combattimento, ma è una sottrazione ruvida, qualcosa che screpola le mani e punge dritto nell’animo, una boxe dell’ombra che rende voracemente intoccabili, un’arte superba, che torna a ricongiungere la forza senza forma dell’acqua con quella deflagrante del fuoco, è un’alchimia difficile, è qualcosa che assomiglia all’arte del cantastorie, a ciò che si nasconde fra le parole, e ne fa capolino nell’arte accorta e millenaria del voler raccontare.

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