Una recensione di Alessandro Angeli
[Apparsa sul numero di giugno 2010 di Maremma Magazine. Segnalo la presentazione del libro a Massa Marittima sabato 8 maggio alle 17.30, presso il Museo Archeologico] A.P.
La storia di un viaggio sulle tracce di una vita intermedia, sospesa e consumata tra due paesi distanti nella geografia, ma vicini nel sangue. La vita di Cosimo Guarrata, fioraio siciliano che nel 1924 si imbarcò per cercare fortuna in America Latina. Quasi un secolo dopo suo nipote Alfredo, inebriato dalla lettura del romanzo Patagonia rebelde, di Osvaldo Bayer, decide di mollare gli indugi e si mette a ripercorrere le tappe dello zio per risolvere la questione della sua eredità. I due viaggi sembrano procedere in parallelo, sebbene quello di Cosimo sia finito da anni e quello di Alfredo invece appena iniziato. Perché nel racconto le due vite anche se inconciliabili cronologicamente sono speculari. Entrambi provano lo stesso entusiasmo e la stessa disillusione per una terra idealizzata e fortemente voluta, ma inafferrabile e torbida come la miscela di fernet e coca cola, che i vecchi emigranti italiani consumano nel bar Las Caravelas di Buenos Aires. Una terra che imprimerà nei cuori di Alfredo e Cosimo il palpito di una bellezza sensuale, potente e incompiuta, marcata da quel sentimento che dall’appartenenza scivola nel disincanto, con la stessa rapidità con cui muoiono i fiori. Alfredo abbandonerà la casa (el tugurio) del suo amato scrittore, atterrito dalla notizia del ritorno al terrore, della sparizione cioè di Ramiro, un militante che lotta per i diritti dei desaparecidos, ad opera delle “forze occulte”, e poi di López, che avrebbe dovuto testimoniare al processo del repressore Etchecolatz. Alfredo lascerà Buenos Aires per raggiungere la Patagonia, dove scoprirà con soddisfazione che il terreno appartenuto a suo zio, adesso, come in un romanzo del suo amico Osvaldo Bayer, è stato recuperado da alcuni mapuche. Cosimo invece brucerà in un ultimo tango la nostalgia per un ideale e un passato che forse è esistito soltanto nei cuori dei poveri diavoli come lui, emigranti senza patria e senza radici.
È un libro che si legge in un respiro questo Fioraio di Perón (Stampa Alternativa, 2009) di Alberto Prunetti, perché il suo pregio è proprio quello di stabilire una comunicazione circolare con il lettore, che non si esaurisce tra le pagine, ma ritorna alimentandosi retroattivamente attraverso le immagini. Perché ogni volta che provi ad allontanartene, i colori e gli odori di Buenos Aires ti raggiungono ancora, ridisegnano le atmosfere concitate dei barrios fumosi e i personaggi che li affollano. Sarà che l’Argentina nel nostro immaginario è così viva, un po’ per la massiccia migrazione dei nostri connazionali, che vedevano in quella terra ricca un Eldorado, un po’ per le gesta dei suoi calciatori, che in Italia da sempre hanno fatto la fortuna delle nostre squadre. Ed è un’Argentina oriunda, creola, quella che ci descrive Prunetti, zeppa di quei tanos che andavano là a lavorare e a perdersi nelle bettole, ipnotizzati dal tango di Gardel e dal fascino genuino delle donne portegne. In Argentina molti italiani vissero costumandosi a un tenore di vita divenuto subito familiare e molti di loro morirono senza che i familiari sapessero niente, come scrive Massimo Carlotto nell’introduzione al romanzo. Cosimo Quartana non soffrì la fame né fu ucciso, anzi fece fortuna, da semplice fioraio diventò il decoratore ufficiale della Casa Rosada, la sede del potere esecutivo argentino. E da lì egli osservò inseguirsi gli eventi più importanti della storia del Paese, dal congresso eucaristico di papa Pacelli nel 1934, all’ascesa di Juan Domingo Perón nel 1946, dalla morte di sua moglie Evita nel 1952, fino alla definitiva scomparsa del Caudillo nel 1974. Il merito di Prunetti tra gli altri è proprio quello di fornirci un osservatorio storico privilegiato, visto dal di dentro, dal cuore cioè di un tano emigrante e di tanti altri che come lui vissero con ardore il sogno peronista, fino alla sua definitiva scomparsa.
In conclusione è utile ricordare che Alberto Prunetti, autore tra l’altro di Potassa (2004), e curatore de L’arte della fuga (2005), ha tradotto e curato per Elèuthera l’edizione italiana di Patagonia rebelde, di Osvaldo Bayer, opera di fondamentale importanza per capire le mutazioni dei processi politico culturali nella recente storia argentina.