POTASSA recensito su ZAPRUDER n°5, settembre-dicembre 2004:
Alberto Prunetti, Potassa. Storie di sovversivi, migranti, erranti, sottratti alla polvere degli archivi, Roma, Stampa Alternativa, 2003, pp. 80, euro 5,00
Edito a cura del Fondo Daniele Boccardi di Massa Marittima, Potassa è un libro intrigante. Già dal titolo: se infatti "il cloruro di potassa è un forte agente ossidante utilizzato nella fabbricazione di fiammiferi, di fuochi artificiali, di esplosivi", Potassa è anche un borgo di quattro case lungo l'Aurelia vecchia nella Maremma grossetana. Qui comincia la narrazione: il 13 luglio 1921, Marchettini Domenico detto "Ricciolo", facchino comunista, rincorre un camion carico di "nerocamiciati" che hanno ferito suo cognato. Segue una polifonia di storie che s'intrecciano secondo un suggestivo contrappunto.
Il primo tema racconta, attraverso carte di polizia, alcune vicende accadute in Maremma nell'insanguinato biennio 1921-22. Latitanza e fuoruscitismo del gruppo di sovversivi che trucidarono due notabili tatterini di simpatie fasciste: oltre il Marchettini, Maggiori Giuseppe, Biancani Roberto e Innocenti Albano. Comunisti e anarchici. Antimilitaristi e disertori alla macchia. Tutti "cani di maremmani" restituiti al lettore fuggendo ogni facile retorica, col loro carico di miserie e violenza ma anche di fierezza libertaria. Maggiori e Innocenti se la caveranno in Francia. Il Marchettini farà perdere ogni traccia di sé. Biancani finirà invece nel tritacarne dello stalinismo, fucilato a Mosca come spia.
Attraverso un'intervista, il secondo tema parla di Lanciotti Umberto, anarchico marchigiano venuto a morire in Maremma alla fine degli anni '60, dopo lunga militanza all'estero: Stati Uniti e Inghilterra. Argentina: anche qui storie di attentati dinamitardi, faide nel movimento internazionale, delazioni, arresti e torture, rappresaglie contro fascisti e aguzzini della polizia locale.
I due piani s'incrociano come in un canone cancrizzante: da un lato fonti scritte, narrazione cronologica, diaspora dei perseguitati politici; rimpatrio e rievocazione, racconto "a spola", testimonianze orali dall'altro.
Ma Potassa è un testo già non più storiografico. La voce di Prunetti si pone a un provocante trivio tra storia, letteratura e antropologia. Abolisce le note a piè pagina per non prendersi "la silicosi negli archivi", romanza interviste "per non passare da serio studioso di fonti orali", inventa di sana pianta carteggi e diari. Insomma è uno studioso irresistibilmente attratto dal fascino dell'affabulazione: "non mi manderà all'inferno una bugia di più", insinua a proposito del diario apocrifo di Vito Cincalla, presunto poliziotto torturatore italo-argentino.
Maremmano, Prunetti rifiuta poi le cartoline d'una Maremma-Arcadia, compresa quella engageé anni '50. "Niente agiografie, per favore": i suoi carbonai sono "meno esistenzialisti di quelli di Cassola", "mangiano leccio e cacano carbonella". Desta però qualche perplessità il postulato secondo cui la "felice inciviltà delle genti locali" a quei tempi era un valore in sé: un contro-idillio moralista che fa di Potassa un libro ancora non pienamente maturo in senso narrativo.
Ma queste vecchie storie di rivolta e sovversione sono anzitutto metafore per il presente. Non a caso il personaggio di Cincalla è nato pensando al G8 di Genova. E Potassa, ambientato nel ventennio, si chiude con un'amara invettiva contro gli effetti di 50 anni di egemonia comunista sulla Maremma. Le catene morali che asservono i maremmani di oggi. Quella "bonifica" che né Medici né Lorena né fascismo seppero fare, fu ultimata "in pochi decenni di dominio stalinista". Dopodiché "della sovrana brutalità dei maremmani" rimase "ben poco".
Antonello Ricci